Ho avuto proprio l’impressione delle scatole cinesi. La più grande, quella che le raccoglie tutte, è la storia della studentessa soprattutto nel suo incontro con l’insegnante, aedo che canta le gesta degli eroi, forse eroina anch’essa, perché vive nella stessa terra dei narrati. Nell’insegnante si palesa con delicatezza l’autrice, Fiori Picco. E tuttavia l’io narrante, e protagonista, è Myrtle, la studentessa che si è allontanata dal piccolo luogo di nascita insieme alla famiglia per studiare in città, all’università, architettura di paesaggi. L’amicizia e la comprensione tra insegnante e allieva è la circostanza che ci fa avere il dono di questa storia. Anzi, di queste storie. Perché, appunto, mentre tutto all’inizio sembra già scelto da Myrtle e tutto appare semplice, perfino lineare, presto lei stessa si accorgerà con stupore - e si renderà conto con sgomento - di vivere nella trama di un disegno che non è stato da lei stessa scelto, né pensato. Myrtle è stata sostenuta nello studio dalla sua famiglia affinché possa tornare a Shanjiao, suo luogo di nascita, e diventarne sindaca, ruolo di grande importanza in una società matriarcale. Lo stupore di Myrtle è anche nostro, perché d’un tratto ci troviamo insieme a lei nelle vite di tanti altri personaggi le cui storie intrecciate si svelano pian piano, mostrando sfaccettature dei sentimenti umani che ben conosciamo – come cattiveria, amicizia, orgoglio, generosità, amore – viste da angolazioni diverse, che ci danno l’incanto del racconto e il beneficio della sospensione di ogni giudizio. Del resto con quale ardire potremmo esprimere un parere sul popolo Kam, nella cui cultura veniamo talmente vividamente immersi attraverso le parole di Fiori Picco da avere l’impressione di aver vissuto tutto il tempo della lettura a Shanjiao. La scrittura è scorrevole ed efficace, le parole sono vivaci pennellate che dipingono il paesaggio, i costumi tradizionali, la trama e i ricami delle stoffe, ogni colore, gli ornamenti d’argento nelle acconciature, le espressioni dei volti. Ma non solo. Il romanzo è ricco di suoni: le azioni sono accompagnate da canti, da balli, da processioni; canti del lavoro, canti di nozze, canti funebri, voci di strumenti musicali antichi e particolari, come la pipa a cinque corde e l’organo a bocca. Tamburelli. Cicale. Rane, anatre e altri animali. A volte si ha l’impressione di un brusio di sottofondo che addormenta i pensieri negativi, distende il tempo. L’acqua stessa canta e cattura luce, risplende di verde smeraldo; ma sa essere anche fonda e torbida.
Il riso addolcisce tutto: ci arrivano odori, sapori, cibo invitante, bevande particolari. Il senso del gusto è solleticato, insieme a quello del tatto. Sì, questa scrittura cattura tutti i sensi immergendoci in un’atmosfera che è contemporaneamente antichissima e presente.
“Il tempo del riso glutinoso” per noi lettori, diventa una dimensione quasi concreta, in cui perdiamo, anzi apriamo, la gabbia della dimensione spazio-temporale. Proverbi, fiabe e leggende s’intrecciano al vissuto dei tanti personaggi che incontriamo, sbalzati accuratamente dall’autrice durante la narrazione che, va sottolineato, pur nella sua molteplicità è perfettamente coerente fin dall’inizio, per lo svolgimento e la capacità di dipanare il filo conduttore, ovvero la vita di Myrtle, con domande e risposte ai suoi dubbi e tormenti. Come si conviene ai romanzi intriganti alla fine qualche domanda resta ad aleggiare negli spazi bianchi, tra le parole. E come nelle più affascinanti storie, a volte è la metafora poetica a spiegarci cosa e come: “Yilan stringe le spalle chiusa nel suo dolore, come un fringuello ferito che si protegge avvolgendosi nelle sue stesse ali”.
“Certi pensieri sono ben radicati come erbacce infestanti”.
Le case dall’esterno somigliano ai costumi delle donne “anch’esse sono addobbate con gerle, spighe giallo sole e mazzi di peperoncini che cascano dagli architravi come sontuose collane di corallo”.
Le mondine “immergono piedi e polpacci nell’acqua lattescente”. E cantano. Viene da pensare alle nostre mondine, ai nostri tradizionali canti del lavoro. All’evoluzione dei metodi e delle tecniche ai giorni nostri. In questo libro computer modernissimi e delicati block-notes di fogli sottili giallo crema a righe rosse raccontano vita reale e monologhi interiori, apertura alla tecnologia e custodia delle tradizioni. Si può preservare un’etnia? Questo libro pone la domanda, la sua tangibilità è già una risposta.
E non vi ho detto nulla, in realtà, della trama. Sarebbe un peccato. Il lettore potrà scoprire pian piano l’origine della storia guida e di quelle in essa contenute, per noi apparentemente lontane, eppure vicine, quasi palpabili. Vive, come la bella illustrazione in copertina ad opera di Asia Picco Zhao.
“Il tempo del riso glutinoso” è un processo evolutivo, che ha bisogno di seguire i suoi ritmi, i suoi procedimenti; così c’insegna questo libro. Auguro a tutti un buon viaggio tra queste pagine, certa che ciascun lettore troverà il suo tempo, perché Fiori Picco prende delicatamente per mano e sa condurre.